La meraviglia della poesia non è nella sua decifrazione, ma nel potere evocativo che esercita su chi se ne appropria.
Qui, in questo testo che si presta a svariate letture, io leggo il difficile percorso verso la coscienza di sé, l’attraversamento di vicoli tortuosi e spesso dolorosi che ci conducono ad avere la consapevolezza del nostro centro (io ho il centro di me), e, di conseguenza, a raggiungere anche il centro di “te”.
La strada è cosparsa di dubbi e incertezze, di ostacoli e barriere, ed è soltanto il potere salvifico dell’amore che sorregge l’inquietudine del viaggio e supera le domande irrisolte.
Chiedere alla madre la saggezza e la sapienza vuol dire avere la dimensione di non sapere (“So di non sapere” – Socrate), che è il corretto punto di partenza per raggiungere la nostra verità.
Ma il cammino nel nostro infinito passa anche attraverso il superamento del legame con la Madre, a cui chiediamo le risposte che cerchiamo, ma che abitano solo in noi stessi.
La madre è una figura ambivalente, che ci dona la vita, ma che può anche divorarci e dominarci nel nome di un amore assoluto, condizionando le nostre scelte, frenando le nostre corse, sospendendo i nostri voli.
Il grembo materno è caldo e accogliente, ma anche stretto e buio, ed è necessario uscirne per vivere.
D’altronde, anche il Vangelo parla dell’episodio di Gesù che, appena dodicenne, si oppone all’ansia materna di Maria, che lo rimprovera per il suo allontanamento.
La ricerca della nostra essenza è un tragitto denso di insidie e di falsi miti…e qui mi piace citare una frase di Paritosh, a cui feci già riferimento tempo fa: “non tutti ce la fanno: siamo come salmoni che risalgono la corrente, molti restano boccheggianti e morenti sulla riva, pochi arrivano alla meta…e speriamo che tra i pochi ci sia anche io e tu che leggi….”
Annapaola