Tra “Disincanto” e “Ti porto in Africa” l’album che trovo più riuscito, che mi trasmette più emozioni è senz’altro “Ti porto in Africa”: un lavoro che (per i temi affrontati, le atmosfere, le sonorità) mi richiama per certi versi “Mango” e “Sirtaki”, ma che apprezzo fondamentalmente per tre motivi:
1) la sua disomogeneità: come è stato ribadito da più parti, infatti, a differenza di “Disincanto”, ogni brano contenuto nell’ultimo lavoro del nostro Pino sprigiona un’atmosfera differente, si colora di emozioni e di significati unici, si anima di sonorità diverse rispetto a tutti gli altri; e tutto ciò non si traduce in una mescolanza disordinata, ma in un equilibrio seducente, dal momento che tutti i brani sono comunque attraversati e unificati dalle cifre comuni alla produzione di Mango, ossia l’amore, la ricerca di se stessi, la domanda di senso che ciascuno di noi si porta dentro, il legame con le proprie radici…
2) la simbiosi fra testo e parole: come è stato acutamente osservato da Raffa Diana (con cui concordo pienamente), rispetto a “Disincanto”, “Ti porto in Africa” costituisce a mio parere il compimento di un percorso artistico autonomo che muove i passi da “Disincanto” e approda (spero non definitivamente!!!) nell’ultimo lavoro. Ciò che mi piace di “Ti porto in Africa” è proprio la sua sinergia di suoni e testi e se questi ultimi non sono certo immediati, di facile presa, tale apparente difetto rappresenta per me un motivo del loro fascino: l’autentica poesia deve essere allusiva, evocativa, mai banale e per questo si sposa così bene con la musica di Pino, che non è mai né semplice, né ordinaria.
3) L’ultima motivazione della mia preferenza è del tutto personale: “Ti porto in Africa” ha fatto da colonna sonora ad una breve ma intensa vacanza corsa in compagnia di mio marito (l’uomo che amo ogni giorno di più): riascoltare i brani dell’ultimo album di Pino mi riporta alla mente le luci vivide della Corsica, il profumo intenso di macchia mediterranea, le marezzature turchesi e la sapida sferza del mare.