Così viene definito l’amore in “Il dicembre degli aranci”. L’incanto di qualcosa che appare e scuote nel profondo, di una realtà (“piccolissima realtà/ grande come il mare”) che irrompe nella nostra vita e ci sorprende e ci seduce, che “prende il vuoto ch’è in me”, inaspettatamente. E’ una strana esperienza: potrebbe essere qualcuno che conosciamo benissimo ma è come se lo vedessimo ora per la prima volta e solo ora si rivelasse veramente; oppure potrebbe essere qualcuno che ci è del tutto sconosciuto ma che nel momento in cui lo incontriamo ci sembra di conoscere da sempre, come se abitasse da sempre regioni nascoste della nostra anima (“perché son parte di te”) e l’incontrarlo corrisponde a un ricordare... e “anche se l’illusione è un’isola,/ anche se tuo malgrado un sole muore/ attraverso l’anima”, il mondo intorno a noi si eclissa e resta quell’unica persona a calamitare tutto il nostro essere (“Tu sei tutto quanto mi conviene”).
“Dare spazio a un amore”, a questo incanto, assume allora i connotati di un destino, cioè di qualcosa che non ha un fondamento o una ragione ultima, ma che è libero nella libertà del suo accadere: e in questa dimensione di presente in cui tutto il passato e tutto il futuro vengono come assorbiti e riassunti in sé, avviene la “divina follia” dell’amore, come la chiama Platone, o il “sorprendente disegno d’Altissimo”, come la chiama Mango. Una divina follia che però è molto seria poiché in gioco c’è qualcosa che è anche più prezioso della propria vita: questo accadere dell’amore è la cosa più importante che ci possa accadere. Non ci accadesse, mai e poi mai potremmo incontrare quell’«altro» che è il proprio «sé» più intimo.
Proprio perché l’amore ha tutte queste implicazioni ci possono essere tante ragioni, come dice la canzone, per non dire “ti amo”. Due su tutte: “E non ti ho detto ti amo
quasi fossi un fiume senza corrente…
e
quasi avessi paura, come del presente”.
Perché l’incontro con la bellezza che fa trasalire l’anima significa anche l’intima avvertenza che da quel momento in poi senza lei la nostra esistenza non avrebbe senso, sarebbe incompleta.
E’ da te che nasco
è in me che vivi
come un’espressione che non c’è.
Buona vita a tutti.
d.Max
“Dare spazio a un amore”, a questo incanto, assume allora i connotati di un destino, cioè di qualcosa che non ha un fondamento o una ragione ultima, ma che è libero nella libertà del suo accadere: e in questa dimensione di presente in cui tutto il passato e tutto il futuro vengono come assorbiti e riassunti in sé, avviene la “divina follia” dell’amore, come la chiama Platone, o il “sorprendente disegno d’Altissimo”, come la chiama Mango. Una divina follia che però è molto seria poiché in gioco c’è qualcosa che è anche più prezioso della propria vita: questo accadere dell’amore è la cosa più importante che ci possa accadere. Non ci accadesse, mai e poi mai potremmo incontrare quell’«altro» che è il proprio «sé» più intimo.
Proprio perché l’amore ha tutte queste implicazioni ci possono essere tante ragioni, come dice la canzone, per non dire “ti amo”. Due su tutte: “E non ti ho detto ti amo
quasi fossi un fiume senza corrente…
e
quasi avessi paura, come del presente”.
Perché l’incontro con la bellezza che fa trasalire l’anima significa anche l’intima avvertenza che da quel momento in poi senza lei la nostra esistenza non avrebbe senso, sarebbe incompleta.
E’ da te che nasco
è in me che vivi
come un’espressione che non c’è.
Buona vita a tutti.
d.Max