Riflessioni, emozioni e punti di vista: come la musica, la poesia e il pensiero di Mango arricchiscono il quotidiano dei fans.
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Qui il senso della vita
è come l'albero delle fate
che cresce forte come un mantello
in cui riavvolgo, in me, questo e quello.

Come vorrei avere questa sapienza di vita! Una capacità cioè di accoglienza senza limiti, essere un porto in cui tutte le navi possono trovare riparo e ristoro. In fin dei conti la realtà tutta si offre e si dona a noi, la creazione è l'anello di fidanzamento di Dio: e noi invece cosa facciamo? Seguendo gli interessi, i bisogni, le pretese del nostro piccolo Io selezioniamo le cose della realtà e diciamo "Questo va bene e questo no!". Come fare per acquisire quello sguardo di Dio, quel disegno d'Altissimo, che di fronte a tutte le sue creature non sa dire altro che "Che bello! Questo è riuscito proprio bene"? Come fare ad accogliere tutto e ciascuna cosa nella sua profonda e intensa positività? Come divenire quel mantello in cui riavvolgere, in me, questo e quello?
Questo: cioè qualsiasi cosa cui io possa fare riferimento e che tuttavia non viene mai esaurita dal riferimento stesso; tutto ciò che può rientrare nel raggio della mia esperienza. Quello: cioè ciò che io penso, significo, tocco, immagino, voglio, amo, ma anche tutto ciò che ingiustamente rifiuto e odio - tutto ciò cui io posso riferirimi con ogni mezzo a mia disposizione, i miei sensi, la mia mente, la mia intuizione, le mie emozioni e quant'altro. Questa incondizionata accoglienza di tutto è l'accettazione della intrinseca unità della realtà, del fatto cioè che le mie cellule sono intessute della stessa materia delle stelle, che un atto di libertà che diminuisce la consistenza di un altro essere ha le sue ripercussioni negative anche nell'ultima galassia dell'universo: è una intuizione che assume tutte le forme che io sono capace di immaginare e costantemente le trascende tutte.
E allora l'albero delle fate diventa quell'axis mundi, quel pilastro cosmico, quel centro del mondo, indicato da molte culture, arcaiche ed evolute (nella Bibbia si parla dell'albero della vita che sta al centro del giardino paradisiaco, che poi diventa la Sapienza che collabora con Dio alla creazione del mondo): esso è la base invisibile, ma reale, sulla quale poggia ogni cosa e verso la quale ogni cosa tende. Non un luogo sacro, un santuario o una montagna sacra, ma un punto senza dimensione dal quale si dispiegano i processi senza fine della natura: il vento mai stanco di soffiare, la mente che mai cessa di pensare, le acque che mai cessano di fluire.
E dato che l'albero delle fate è qualcosa di magico, il nostro compito consiste non nel vederlo, ma nello scoprire le orme dei suoi passi quando ormai sono già scomparsi.
Questa pensa debba essere "la sapienza e il lume" da chiedere come "senso della vita", per divenire, ognuno, "quel piccolo infinito che non è mai finito".

Buona vita a tutti.

d.Max

Forse è proprio nel riscoprire in noi quel lato innocente, non contaminato dalla diffidenza che purtroppo si acquisisce con l’esperienza di vita in questo nostro “malamente mondo”, è proprio nel fare spazio in noi alla crescita “forte come un mantello” di questo magico “Albero delle Fate” che si può davvero cogliere tutto il “questo” che ci circonda e il “quello” che ci è più distante, che ancora non conosciamo appieno ma che, nell’ingenua curiosità di un bambino, ancora abbiamo voglia di sperimentare e di percepire fino in fondo.

In questo vedo molto la “Teoria del Fanciullino” di Giovanni Pascoli:

“È dentro noi un fanciullino che non solo ha brividi, come credeva Cebes Tebano che primo in sé lo scoperse, ma lagrime ancora e tripudi suoi. Quando la nostra età è tuttavia tenera, egli confonde la sua voce con la nostra, e dei due fanciulli che ruzzano e contendono tra loro, e, insieme sempre, temono sperano godono piangono, si sente un palpito solo, uno strillare e un guaire solo. Ma quindi noi cresciamo, ed egli resta piccolo; noi accendiamo negli occhi un nuovo desiderare, ed egli vi tiene fissa la sua antica serena maraviglia (e qui mi torna in mente: “Di quanto stupore”…); noi ingrossiamo e arrugginiamo la voce, ed egli fa sentire tuttavia e sempre il suo tinnulo squillo come di campanello (e qui mi torna in mente quel richiamo “magico” all’inizio del singolo “Albero delle fate”).
Il quale tintinnio segreto noi non udiamo distinto nell'età giovanile forse così come nella più matura, perché in quella occupati a litigare e perorare la causa della nostra vita, meno badiamo a quell'angolo d'anima d'onde esso risuona. E anche, egli, l'invisibile fanciullo, si perita vicino al giovane più che accanto all'uomo fatto e al vecchio, ché più dissimile a sé vede quello che questi (il "questo e quello" del Nostro visti come il "vicino e il lontano" al nostro sentire). Il giovane in vero di rado e fuggevolmente si trattiene col fanciullo; ché ne sdegna la conversazione, come chi si vergogni d'un passato ancor troppo recente. Ma l'uomo riposato ama parlare con lui e udirne il chiacchiericcio e rispondergli a tono e grave; e l'armonia di quelle voci è assai dolce ad ascoltare, come d'un usignuolo che gorgheggi presso un ruscello che mormora. (..)”

In fondo il nostro fine ultimo per la “vera conoscenza” è proprio quello di “diventare piccolo come un bambino”, non è vero, d. Max?
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