Nella ricerca di ogni giorno di quella saggezza e del pane che ci possa far compiere il passo necessario del quotidiano, si incontrano labirinti, “piccoli infiniti, mai finiti”, che ci coinvolgono e ci attraggono. Forse a volte, anzi quasi sempre, non mantengono quello che promettono e quel dono di vita così adombrato e agognato diventa un dono avvelenato (sarà solo un caso che gift in inglese significa dono e invece in tedesco significa veleno? O che, secondo alcune etimologie, la parola veleno, venenum in latino, proviene da Venus, Venere, dea della bellezza e dell’amore? O che tutti i doni fondativi della nostra civiltà, dal fuoco di Prometeo al vaso di Pandora, al cavallo di Troia e anche il frutto della conoscenza che Eva porge ad Adamo, si sono rivelati venefici?).
E allora come trasformare l’acqua torbida in miracolo di onestà, un’eterna malinconia in bella di notte, se già le cose più promettenti poi deludono così?
Ma come può questa vita deluderci
illuderci così
ma come può un preludio incantevole
mutare poi così in così poco tempo
Ma come può
ma come può
“Io ho il centro” dice la canzone. Di te e di me, articola poi. Avere il centro, meglio: essere al centro, è questa l’indicazione di una via? Di una “realizzazione”?
Di un centro da cui le diverse circostanze della vita non possono più sconvolgerci, la riedizione del “centro di gravità permanente”?
Ma rifletto: c’è una dimensione dell’amore che è solo l’altra faccia dell’odio, e uno può vivere tutta la vita facendo il pendolo fra amore e odio, passione e indifferenza, bisogno dell’altro e ricerca della propria libertà… ma c’è anche una dimensione dell’amore che è più profonda e, per questo, più esposta, più fragile, più vulnerabile…
Ma quale amore,
quale amore ci aspettava
se non quello indifeso,
maltrattato, ucciso, offeso,
ma per che cosa?
E’ questo amore tutto l’amore che conta davvero, quello così sottile e rispettoso che "non sa di esistere".
Eppure questo amore così fragile come petali che si fanno farfalla e si innestano in una corrente di vento africano è quello che può diventare “sorprendente disegno d’Altissimo”, che può “chiudere per Dio, il giro a questo mondo”. E’ qualcosa che può metterti col “culo a terra” ma anche “sorprendere l’immenso”. E’ quell’amore che ci riempie il cuore, quell’amore “nonostante tutto”, “sempre qui, ostinatamente e a prescindere da tutto”. Perché è quando si ama così, “sempre in sosta tra un punto ed un cuore”, che ci accorgiamo di essere eterni.
Qui il senso della vita
è come "l’albero delle fate"
che cresce forte come un mantello
in cui riavvolgo, in me, questo e quello.
Con amore. A tutti voi.
Massimiliano
E allora come trasformare l’acqua torbida in miracolo di onestà, un’eterna malinconia in bella di notte, se già le cose più promettenti poi deludono così?
Ma come può questa vita deluderci
illuderci così
ma come può un preludio incantevole
mutare poi così in così poco tempo
Ma come può
ma come può
“Io ho il centro” dice la canzone. Di te e di me, articola poi. Avere il centro, meglio: essere al centro, è questa l’indicazione di una via? Di una “realizzazione”?
Di un centro da cui le diverse circostanze della vita non possono più sconvolgerci, la riedizione del “centro di gravità permanente”?
Ma rifletto: c’è una dimensione dell’amore che è solo l’altra faccia dell’odio, e uno può vivere tutta la vita facendo il pendolo fra amore e odio, passione e indifferenza, bisogno dell’altro e ricerca della propria libertà… ma c’è anche una dimensione dell’amore che è più profonda e, per questo, più esposta, più fragile, più vulnerabile…
Ma quale amore,
quale amore ci aspettava
se non quello indifeso,
maltrattato, ucciso, offeso,
ma per che cosa?
E’ questo amore tutto l’amore che conta davvero, quello così sottile e rispettoso che "non sa di esistere".
Eppure questo amore così fragile come petali che si fanno farfalla e si innestano in una corrente di vento africano è quello che può diventare “sorprendente disegno d’Altissimo”, che può “chiudere per Dio, il giro a questo mondo”. E’ qualcosa che può metterti col “culo a terra” ma anche “sorprendere l’immenso”. E’ quell’amore che ci riempie il cuore, quell’amore “nonostante tutto”, “sempre qui, ostinatamente e a prescindere da tutto”. Perché è quando si ama così, “sempre in sosta tra un punto ed un cuore”, che ci accorgiamo di essere eterni.
Qui il senso della vita
è come "l’albero delle fate"
che cresce forte come un mantello
in cui riavvolgo, in me, questo e quello.
Con amore. A tutti voi.
Massimiliano