Sensazioni e pareri scaturiti dalla lettura e dall’analisi delle poesie contenute nel libro scritto da Mango.
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A distanza di qualche tempo, siamo riusciti a recuperare la recensione originale, nella sua integrità, che è stata declamata durante la premiazione di Calciano.


Premio Culturale “Santa Maria della Rocca SPECIAL 2004” - Calciano (MT)
Presentazione della raccolta poetica
“Nel malamente mondo non ti trovo”

Premio conferito a PINO MANGO con la seguente motivazione:

"Tale gesto esemplifica ed invita all'emulazione tanti giovani talenti,
onora la nostra regione e scopre una vocazione artistica in continua evoluzione letteraria".


Ho risposto con entusiasmo all’invito della dott.ssa Bamundo, e dell’Associazione da lei diretta,
e non nascondo la sorpresa e la curiosità nell’essere venuto a conoscenza di una raccolta poetica firmata Pino Mango, il cantautore,
ben conosciuto attraverso i testi e la musica di quelle che sono divenute colonne sonore di molti momenti passati.
Non è facile presentare un libro, specie se dettato dal cuore come questo, né voglio che “le mie frasi ribaltino il niente”
e facciano solo rumore dopo tutto quanto si è altamente detto e scritto.

Da una lettura attenta alle poesie in questione ho potuto enucleare spunti e immagini che ricorrono continue;
ma prima di presentare, brevemente, queste sensazioni, vorrei sottolineare come non si voglia, stasera,
fare una lezione sulla poesia né sezionare i versi dell’autore come spesso si fa, rendendo la poesia luogo di inutili autopsie,
e trovare ciò che essa non dice ma si vuole dica.
La poesia, dettata dagli impeti più intimi, rimane personale e come tale va rispettata e valutata, piaccia o non piaccia,
trasmetta o non trasmetta, nel bene e nel male.
Non mi si voglia se il mio tentativo di analisi, per quanto appena detto, mi porti a raccontare la poesia di Mango attraverso la poesia di Mango;
il mio vuole essere un sostare su alcuni versi e concetti evidenti.
D’altronde come scriveva il francese Bremond “Il mistero del poeta è anche il mio proprio mistero”, quindi del lettore.

Prima di tutto la poesia di Mango è esperienza di vita, riflessione esistenziale.
Già il titolo della raccolta appare significativo, volutamente provocatorio, con quell’aggettivo “malamente”, chiaro dialettalismo;
“malament” in molte parlate lucane sta per cattivo, è già qui si tocca il legame al mondo lucano da cui l’autore proviene senza mai rinnegarlo.
Qual è il mondo “malamente”?
Si tratta del mondo di oggi, dominato da arrivismo e egoismi, soprusi e ingiustizie, fame e guerra,
un mondo in cui domina la sfiducia, sì, ma anche la voglia, che genera un tentativo di cambiamento, magari “storpiando il male, che nascosto si nasconde al bene”,
un male che riporta al Montale di “Ossa di seppia” quando scriveva “il male di vivere ho incontrato” e che ha una lunga tradizione letteraria,
passando anche per Leopardi, senza andare troppo lontano, in particolare nell’intenso “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” quando scrive “…a me la vita è male”;
quello di Mango è un aprire gli occhi di fronte a quel male che il mondo fa passare come bene.
In questo mondo incerto con i drammi di un’umanità che, a volte, pare non volere ricordare tragedie già vissute come la violenza e,
per rimanere a fatti di attualità, la guerra, Mango stesso ribadisce:
“a me la guerra non interessa: voglio vivere d’amore”.

In questo malamente mondo protagonista è un rapporto, un io che trova un altro,
la ricerca costante di un contatto, che porta alla speranza per un mondo migliore.
Nella vita bisogna avere accanto una presenza, possedere “la luce dell’energia” che l’altro essere umano ti dona.
“Non è bene che l’uomo sia solo…guai all’uomo solo” si legge nelle pagine poetiche della Bibbia.
E anche qui, nei versi di Mango, la relazione interpersonale assume un ruolo fondamentale:
essa ci è necessaria come l’aria che respiriamo e come la luce che ci avvolge, perché siamo stati creati per la comunione e per l’amore.
Un ottimismo vivo e vero anche se pieno di una coscienza carica di realismo, quando scrive
“sarebbe bello cominciar daccapo ma gli anni son pesanti. Rimetterli, uno ad uno, al proprio posto è una fatica
…il vissuto è certo e i ciclamini spunteranno, lì nell’angolo ogni volta come fosse la prima volta”.


Ogni poeta, come ogni uomo, ha un suo senso del tempo.
Il tempo di Mango è un tempo-futuro, cioè carico di passato ma speranza del futuro, e un tempo-presente di coscienza piena.
Un futuro possente espresso anche dall’uso sovente della forma verbale.
Se il pessimismo sembra prendere piede, ed ecco la la coscienza piena del presente,
permane un germe di ottimismo, bastano poche espressioni come il “seminar futuro / solchi nuovi / alimentarli per mille nuovi raccolti”,
un futuro che non rinnega ma si impregna di passato, quel “futuro pesante di storia”;
è l’amore, tema su cui ritornerò, a concretizzare questo futuro, perciò “futuro del mio futuro / esser tuo per sempre” scrive il poeta.
L’amore diventa esso stesso ritmo, scansione, di quel tempo che, come ricordava Seneca, “scorre via senza far rumore”.
L’ideale, allora, non è più la continuità di una durata ma la singolarità di istanti, come quando scrive
“il tempo… lento proprio come il mio sostare dentro di te”.
Si leggono versi intensi come
“tempo ne ha vinte di storie su ciò che rimane negli occhi”
e anche
“la notte è un lieve vapore di millenni” che sembra quasi sussurrare fatti lontani.

Al tempo si ricollega strettamente il senso di infinito, quando si legge “possa baciare il mio infinito” “l’infinito che con te consumai”,
quell’infinito può favorire di lasciare il malamente mondo, di scivolare sulle “tristezze solitarie”, di “scolpire il vento”,
ma sia chiaro: questa non è fuga ma è scrutare, attraverso l’infinito e il suo senso mistico, quel mondo reale e se stessi.
La stessa natura si confonde con esso, come quando scrive “tramonto perfetto si spande nel cuore della trasparenza”.
L’infinito di Mango è fuori, oltre il cielo, quei “cieli come transumanze di secoli”e dentro sè, nella propria intimità
“oltre l’immenso consumo gli occhi / dove noi siamo veli / balconi del mondo”.
Si respira un forte, direi quasi violento, senso mistico fatto di spiritualità,
di una religiosità verso l’infinito che circonda la vita dell’uomo: ritornano immagini come lo spiccare il volo, e il vento.
Scrive “non me ne voglia il vento se a volte non seguo le sue distanze / muri sui fianchi del cielo / - capire il vento non vuol dire seguirlo”.
Espressioni come “più in alto dell’altura” e “più in cielo del cielo” definiscono spazi senza confini
che riportano a concepire l’infinito, leopardianamente, come indefinito, ossia quando
“l’anima non vede i confini e riceve l’impressione di una specie d’infinito…” (Leopardi).
Sono queste sensazioni , sensazioni di libertà, che spirano in ogni sentimento l’eco del proprio essere,
quella libertà che non fa accettare i limiti meschini imposti dal “malamente” mondo.

Nella lettura dei versi si respira, anche, una forte sensualità, fatta di immagini e sapori,
in cui ogni lettore viene immerso quasi fisicamente: denso di contrasti come
“aroma di caffè e di panna”, nel “chiaro dei biancospini colorerò il mio corpo bruno”, il “rosso di un vino (p. 39)
come il sangue, una natura che palpita accanto all’uomo, i melograni /fico/vermi/ortensie/gerani (p. 51).
Si percepisce un gioco in cui i sensi sono coinvolti, “i sensi tutti in cerca di te”, dove “il senso delle cose è il tuo sorriso sulle mie labbra”, sono tutte citazioni.
L’amore è sensualità fatta di “corpi sconfitti d’amore”, dove ruotano, senza prendere il sopravvento,
“mani – seni – capelli – lingua – ombelico – agrifoglio – cannella – vene – sorriso – silenzio – odore”.
Si tratta di un amore sensuale quando scrive “Quella scorza dai tuoi baci e poi mangiarne il frutto” che non nasconde spine.
Quegli stessi baci che sanno “di castagne sulla brace”.
È un amplesso vitale quello espresso, anche tra il buio che “torna a soddisfare la notte”,
come in un incontro quotidiano e sempre nuovo che ben si esprime in quelle “lenzuola che sanno di mattino”.
E non mi dite che non si sentono queste immagini.
La poesia di Mango è anche una battaglia di colori:
tramonto viola e giallo oro, viola disattento al marrone aggressore – diamanti opalescenti – giorno – notte – faro.
Si percepiscono echi di una materialità che, attraverso i sensi umani, diventa spiritualità.

Luce e colori ma anche suono.
C’è un filo rosso tra le canzoni e le poesie di Mango, in una parola c’è un’orchestrazione fonica, la musicalità che è ricercatezza delle espressioni,
non a caso i testi sono definiti “quasi canzoni”, c’è una sonorità nelle immagini con la quale si può ripercorrere la stessa esperienza musicale del Mango cantante e cantautore.
Nei suoi versi si leggono “labbra diventate suono / i respiri canto di buona stagione”, e
“di te io suono e canto”, “arpa mia, son io che ti suono”, fino al testo intenso dal titolo “se la musica non ci fosse”.
C’è anche il “rumore del pensiero” a cui siamo invitati a “dare un senso”, così che quel rumore si intensifichi in armonia.
Anche il rumore della pioggia diventa musica, con “piove, piove, piove, piove” che rimanda al D’Annunzio,
sembra quasi sentirla la pioggia che diventa balsamo alla canzone ferita, al lamento di un amore sottopelle, che non si cicatrizza.
Periodi musicali, dunque, che trascinano la mente di chi legge.

Ma è l’amore a dominare in questi versi, l’amore inteso come ricerca e dono incondizionato di sé.
Non ci meravigliamo, dunque, se ai sensi anche primordiali fatti di istinto e di passione,
carichi di insegnamenti spirituali, segua l’amore visto a 360 gradi.
Un amore tenero che “culla l’altro dentro di se” e che porta oltre:
“comunque t’amo”, scrive Mango, e quel “comunque” non ha bisogno di ulteriori spiegazioni.
Un amore che è vita, salute e malattia, si legge “mi ammala il non averti”, “è di te soltanto che nutro il mio libero sangue”.
Un amore anche tenero e pieno di pudore “amore antico fatto di sguardi rubati, carichi di pudore”.
Un amore fanciullesco e palpitante, “te che non dormi pensando a me che non dormo”, fatto di attese
“Aspettami”, un amore che conduce verso l’oltre dei propri limiti “Con te sono il tramonto vasto più del cielo mio di te”,
“Forse che fra cent’anni e mille amanti ti prenderò per mano io soltanto”
quasi a riprendere i versi schakespeariani, un amore fatto di bisogno “case bisogni di tetti” e di dono “tanto ti ha dato e tanto ti ha preso”.

Un amore passionale, vissuto con la partecipazione totale dei sensi e dell’anima,
un sentimento che si fa ragione di vita, una forza che sconvolge fino alle radici dell’anima.
Quell’intensità vissuta tante volte a partire dalla storia della letteratura antica, per citarne alcuni,: Saffo, Catullo, o gli intensi stilnovisti e così via fino ad oggi.
Questo è un amore che chiede instabilità, instabilità intesa come capacità quotidiana di rinnovare e ricreare quello che si è vissuto,
l’emozione stessa è avventura rischiosa ed eccitante che altera lo stato di quiete, che rende tutto più autentico,
un amore che disarma e sconvolge ma viene vissuto fino al disorientamento
“Adesso disarmami! Sconvolgimi del tuo sempre – Disorientami” e al naufragio “Naufragandomi”.
Solo così non esiste più il rischio della noia e della monotonia che sottilmente guasta ciò che si vive
e permette di mettersi sempre in gioco e scoprirsi nuovi.
Così ci sarà ricerca costante di “percorsi del mondo con l’altro”, che permette di
“Raccogliere ogni vuoto importante per riempirlo con quell’accorgersi dell’altro”,
solo allora si è coscienti che l’uomo e la donna non sono tali se non diventano un “Io con te”
un’unione nel disordine del mondo, fino a diventare l’uno l’altro “Io sono te e tu sei me / io cado in te quando mi pensi”.
L’amore diventa gioia prima della gioia, preludio di sorrisi, di offerta totale, anche delle paure:
“Ti regalo le mie paure”, “palpito che mai si placa con te” e allora mi ritrovo ai primi punti: l’amore come scansione del tempo
“più invecchio e più ti guardo”.

Oltre ai contenuti superficialmente toccati, nella lettura credo fondamentali siano elementi strutturali quali:
l’uso del verso sciolto, gli indicatori di segmentazione, ossia gli “a capo”,
che mirano a focalizzare l’attenzione su parole, concetti, lemmi ricercati perchè contenitori di valori da trasmettere.
Anche con questi elementi la poesia diviene visiva oltre che musicale.
Poi l’uso della costruzione anaforica, ossia la ripetizione di una o più parole all’inizio di versi successivi,
crea una geometria composta delle poesie.
Questi elementi, insieme alla tendenza verso metafore vaghe e sognanti, richiamano i tratti tipici della “grammatica” ermetica del 900,
con effetti di voluto vago e imprecisato: la poesia può creare stimoli diversi in ogni lettore;
così le metafore non sempre limpide al primo impatto, il linguaggio in alcuni momenti si fa arcano, favoloso,
si rimarca il contrasto fra individualità e immensità, tra l’io e l’universo, con la forza di slancio propria dell’animo verso mète inesplorate.
La parola diventa essere vivente, e come diceva Victor Hugo
“più potente di colui che la usa, scaturita dall’oscurità essa crea il senso che vuole…è calore, è notte, è gioia, sogno, amarezza, oceano, infinito”.
Parole, dicevo, ricercate perché hanno una loro stabilità che non dipende, come nelle sua canzoni, dalla musica e dalle note.
Mango ama denudare ogni parola di ogni aggiunta inutile per farla esistere da sola.

Poesia è per Mango una vocazione, questo si percepisce subito,
è il coraggio di non sottrarsi ad esprimere in una forma ritenuta tradizionalmente alta e forse troppe volte ritenuta lontana e per pochi, mettendosi così a nudo.
Non c’è un richiamo solo a Shakespeare, Montale, Garcia Lorca, Baudelaire, Hikmet, ed altri già ricordati, anche dallo stesso autore nell’introduzione,
ma si percepiscono echi, volontari o involontari, di Ungaretti (e la sua Mattina – 1917); di D’Annunzio con quel “Piove” (La Pioggia nel Pineto) e ancora Leopardi in quel “naufragare” coi pensieri e la mente (L’Infinito, in Canti XIII).

Vorrei, infine, concludere con uno dei temi che più ci tocca, ossia la presenza costante di una “mediterraneità”,
fatta di colori e sapori, in cui esplode la forza del mondo lucano.
Più che nelle sue canzoni, destinate ad un pubblico vasto e vario, è nelle sue poesie che si trova questa forte identità lucana.
In una delle poesie, “La vecchia e la loggia”, si respira il profumo dei vicoli lucani, gli incroci dei nostri paesi fatti di occhi silenti,
vecchie “affusolate ai rosari coi neri scialli", divengono un’icona, un simbolo, di un’identità, quella lucana, minacciata a scomparire dietro il rumore della modernità.
Si odono ancora in questi nostri paesi, come ricorda Mango, fatti lontani e magie più nascoste dell’ombra,
sì perché il mondo lucano è fatto di preghiera e di sortilegi, di una religiosità pura e ingenua, come quella delle processioni,
e di una tradizione magica fatta di leggende e riti apotropaici, intessuti e intrecciati intimamente.
Anche nel suo “Lupo lucano” a cui viene chiesto di scavare la sua terra, di riprendersi il passato: in una parola di riprendere la propria dignità.
È quel “silenzio appeso alle braccia che appesantisce i secoli e sposta la storia”, a ricalcare una forza autentica del popolo lucano,
fin dalle antiche sue lotte contro l’invasione della Roma Repubblicana e alle lotte della Repubblica partenopea nel 1799, passando, poi, attraverso il brigantaggio.
Un popolo che ha saputo reagire alla storia e non è stato spettatore passivo facendola propria e rendendosi protagonista.
Dunque, sono immagini evocative, quelle che emergono da queste pagine.
Evocative di un mondo che rivive nel ricordo e ancora nei nostri piccoli centri della Basilicata.

Si divorano quelle poesie, come pagine di intense sensazioni, accompagnati per mano in un mondo autentico,
fatto di sapori e colori, di nenie e filastrocche.
Un viaggio in cui soprattutto noi, lucani, abbiamo la possibilità di ripercorrere immagini e sapori che ci appartengono;
un viaggio nella memoria e un richiamo alla coscienza su questo “malamente mondo” in cui, nonostante tutto,
siamo chiamati ancora a credere e imparare a vivere quell’ “essenziale” che, come scriveva Saint-Exupéry nel Piccolo Principe, “è invisibile agli occhi”.

dott. Antonio Appella

ma quanto mi sta simpatico questo dottor Antonio Appella :lol:
bravissimo :oops: :wink:

Seppur sviscerata fino all'osso, la poesia di Mango non perde il suo fascino.
O sbaglio?
Resta unica ed impareggiabile come unico ed imperaggibile è il nostro "lupo lucano" :D

Veramente bella e approfondita questa recensione.

Una prova in più che se la parola della quotidianità rischia di consumarsi nelle convenzioni e convenienze sociali e, ahimè!, ancor di più, economiche, nella poesia essa diventa cosa, illuminazione dell'essere, vibrazione sonora e densa di una realtà che finalmente si dischiude e respira.

d.Max

in cinque minuti di lettura ho ripercorso le sensazioni di tutto il libro di poesie,splendide parole che non possono che far piacere a chi ha amato dalla prima all'ultima parola"nel malamente mondo non ti trovo"............ha noi le sensazioni,il più delle volte che rimangono nei nostri cuori senza trovare parole alcune per descrivere tutto quel gran miscuglio........... e a chi è un gran competente,le parole delle recensioni di questo calibro..........
grazie antonella
Nel leggere la recenzione mi ha colpito molto una frase che, secondo me, esprime bene quella che è l'origine della POESIA. La frase recitava " La poesia, dettata dagli impeti piu' intimi, rimane personale e come tale va rispettata e valutata, piaccia o non piaccia. trasmetta o non trasmetta, nel bene e nel male". Questa frase la collecherei ad un'altra contenuta nella prefazione del libro e scritta dallo stesso Pino " ........la poesia come scrittura, come liberazione dell'anima quanto chiede aiuto". Penso che tutto ciò sia vero, la poesia è talmente personale e sgorga dal piu' intimo di ognuno di noi che non si può giudicare, la si deve accettare così com'è. Quando qualcuno di noi "sente" la necessità di scrivere, traducendo in parole, versi, frasi, quello che ha dentro, porta all'esterno una parte molto intima di se, che merita il piu' alto rispetto, qualsiasi sia la reazione che possa produrre in chi la legge e merita rispetto perchè chi scrive ha il coraggio di mettere "a nudo" la propria anima che in quel momento chiede aiuto. "........la poesia come liberazione dell'anima quanto chiede aiuto", quante volte ciò che abbiamo dentro, i sentimenti, le gioie i dolori non riusciamo ad esprimerli, non si trovano le parole giuste; la poesia, se sgorga spontanea, dal profondo, può far questo. Se si è un'anima sensibile tutto ciò viene fuori da solo, proprio "come liberazione", perchè in quel momento è come se l'anima si stesse "automedicando", liberandosi da ciò che può creare tormendo. Chi ha la meravigliosa fortuna di ricevere in dono una poesia e di essere "l'oggetto od il soggetto" di questa poesia riceve, non delle parole, ma tutto l'amore che l'autore in quel momento provava.

Bellissima questa recensione!
Anche se il libro è uscito già da tempo mi viene comunque da pensare che questa è la magia della poesia: non ha tempo.....
Puoi leggerla infine volte e trovare ogni volta sensazioni differenti, così come leggere recensioni approfondite come questa e soffermarsi ulteriormente su certi aspetti.
Mi son piaciute molto anche le numerosissime citazioni, molto attinenti. stupenda la similitudine con l'infinito leopardiano per esempio, che riporta a quella libertà nel non accettare, appunto, i confini del Malamente Mondo

Angela

Veramente stupendo questo saggio del dott. Appella, io c'ero durante la personale lettura a Calciano e sono rimasta immediatamente colpita dalle ricercate ed azzeccatissime parole, tant'è che ho immediatamente chiesto una copia del testo, per apprezzare al meglio la genialità di queste riflessioni.
Ricordo un Pino Mango compiaciuto e commosso durante l'ascolto della lettura...
Secondo il mio parere, il dott. Appella è riusciuto in modo conciso e nello stesso tempo circostanziato ad evidenziare i veri valori dell'espressività morale e letterale di Mango.
Importantissima la sua volontà di non vivisezionare testi e poesie, ma solo valorizzare i contenuti di ampio respiro, rispettando l'altrui libera interpretazione, indispensabile predisposizione per ritrovare un pò di se nei momenti di maggior contemplazione.
Una frase che mi ha colpito:
"Quello di Mango è un aprire gli occhi di fronte a quel male che il mondo fa passare come bene"
Io l'ho inteso come una rinascita, il risveglio dal "torpore" giovanile, ovvero quel senso di superiorità che distrae dal mondo nell'era della spensieratezza: potrà sembrare un eufemismo questo paragone.... ma lo trovo appropriato per giustificare una visione puramente saggia degli ideali di vita di Pino, i quali ora acquistano maggior spessore, perchè sostenuti da una maturità consapevole e riconducibile ad una filosofia basata sulla conoscenza e sull'agire umano.
Molto bello l'evidenziatore puntato sulla sensualità che contraddistingue i testi di quest' Artista e la sua stessa anima... la dettagliata raffigurazione nel far rivivere "le immagini ed i sapori" contenuti in alcune versi, mettendo in rilievo i sentimenti della passione carnale e spirituale...


Lory

C'ero, c'ero anche io a calciano...
ho avuto la fortuna di salire sul palco e di scambiare con Pino argomento profondo quale è l'amore...non scorderò mai i suoi occhi carichi di cuore ad ascoltare la bellissima ricerca...non scordarò mai le sue parole...cuore aperto ad abbracciare il nuovo.
Pino è un messggio di speranza e di fiducia...noi altri altro non dobbiamo fare che coltivarle sempre.
un abbraccio.
dal cuore.
damiano

"Mango ama denudare ogni parola di ogni aggiunta inutile per farla esistere da sola"

E'questo che adoro nelle sue poesie come nelle sue canzoni: le parole perdono qualsiasi connotato inutile per svelare alla nostra interiorità la profondità del significato che assume dal punto di vista del cuore e dell'amore. Esistono da sole non c'è niente da aggiungere: SOLO D'AMORE.
Nessun riferimento a logiche del mondo moderno, niente fronzoli decorativi, ma solo alla profondità di ascolto dell'anima e non importa se siamo predisposti o meno: le sue parole raggiungono tutti senza distinzione perchè toccano il centro più profondo di noi stessi; quello che si agita quando lo ascoltiamo e che ci porta là....

"[i]E' il coraggio di non sottrarsi ad esprimere in una forma ritenuta tradizionalmente alta e forse troppe volte ritenuta lontana e per pochi,../i]"


Licia
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