Non dirlo a nessuno che t’amo!
Non dirlo a nessuno che t’amo!
Non dirlo neanche al te stesso ch’è in me.
Non dirlo a nessuno che t’amo,
neanche alle nude parole
che sanno di un nuovo parlare
e alle tegole rotte e alle fate
e al falco pellegrino
e alla gente che non sa che esistiamo davvero.
Non dirlo a nessuno che t’amo,
neanche alla notte
confinante col fiato d’un sogno.
Scivolato sia, d’un amore mai vinto,
quell’odore di parto smarrito
gocciolìo d’una morte nel cuore,
come un Cristo irrisolto,
dal percorso che traversò il tuo percorrere,
trascurando di sapermi Passione per te.
Non dirlo a nessuno che t’amo,
neanche a quel mare di foglie d’autunno
sparse su di me come sepolcro.
Non dirlo a nessuno che t’amo,
neanche a quel tempo che cerca il mio tempo
e s’annida tra l’intimo
e i rivoli dell’emozione.
E il vuoto genera il vuoto.
E il rumore è senza rumore.
È una di quelle poesie che, insieme a “Rose nell’acqua” m’ha colpito maggiormente.
Anche questa poesia rivela un modo di pensare che è molto simile al mio.
La frase “non dire a nessuno che t’amo!” polverizza già il pensiero di un amore tra la gente.
Questo è un amore intimo.
Dove la carne s’appropria dell’altra carne.
Lo sguardo rivela il mistero all’altro sguardo.
La mano s’intreccia come mandorlo sull’altra mano, fino a diventare edera sul petto e sul seno.
Le notti sono notti senza il minimo bagliore di sole.
Il respiro è cieco ad altri.
Un amore che vive nel nascosto intimo. In quel t’amo detto all’amante, senza che esista l’esterno.
Tutto ciò lo rivela questa frase: “e alla gente che non sa che esistiamo davvero.”.
L’amore allontana l’esterno (cioè la gente), rimanendone cosa in disparte. Quel disparte che raccoglie poi in sé tutto l’immenso dell’universo.
Raccoglie il canto del vento di un mattino invernale.
Raccoglie tra le dita lacrime di pioggia di Marzo.
E nel respiro reciproco s’annida in sé stesso formandone un amore dove l’esterno non esiste.
Non dirlo a nessuno che t’amo!
Non dirlo neanche al te stesso ch’è in me.
Non dirlo a nessuno che t’amo,
neanche alle nude parole
che sanno di un nuovo parlare
e alle tegole rotte e alle fate
e al falco pellegrino
e alla gente che non sa che esistiamo davvero.
Non dirlo a nessuno che t’amo,
neanche alla notte
confinante col fiato d’un sogno.
Scivolato sia, d’un amore mai vinto,
quell’odore di parto smarrito
gocciolìo d’una morte nel cuore,
come un Cristo irrisolto,
dal percorso che traversò il tuo percorrere,
trascurando di sapermi Passione per te.
Non dirlo a nessuno che t’amo,
neanche a quel mare di foglie d’autunno
sparse su di me come sepolcro.
Non dirlo a nessuno che t’amo,
neanche a quel tempo che cerca il mio tempo
e s’annida tra l’intimo
e i rivoli dell’emozione.
E il vuoto genera il vuoto.
E il rumore è senza rumore.
È una di quelle poesie che, insieme a “Rose nell’acqua” m’ha colpito maggiormente.
Anche questa poesia rivela un modo di pensare che è molto simile al mio.
La frase “non dire a nessuno che t’amo!” polverizza già il pensiero di un amore tra la gente.
Questo è un amore intimo.
Dove la carne s’appropria dell’altra carne.
Lo sguardo rivela il mistero all’altro sguardo.
La mano s’intreccia come mandorlo sull’altra mano, fino a diventare edera sul petto e sul seno.
Le notti sono notti senza il minimo bagliore di sole.
Il respiro è cieco ad altri.
Un amore che vive nel nascosto intimo. In quel t’amo detto all’amante, senza che esista l’esterno.
Tutto ciò lo rivela questa frase: “e alla gente che non sa che esistiamo davvero.”.
L’amore allontana l’esterno (cioè la gente), rimanendone cosa in disparte. Quel disparte che raccoglie poi in sé tutto l’immenso dell’universo.
Raccoglie il canto del vento di un mattino invernale.
Raccoglie tra le dita lacrime di pioggia di Marzo.
E nel respiro reciproco s’annida in sé stesso formandone un amore dove l’esterno non esiste.