… ieri sera, 11 dicembre 2011, firenze...
Non chiedetemi se il concerto di questo tour di Mango è acustico o semiacustico. Non chiedetemi la scaletta del concerto. Non chiedetemi quale canzone è stata cantata al top (ma ce n'è stata una non cantata così?).
Io so solo che ieri o, insomma, in questo tour, Mango ha confezionato un tipo diverso di aquilone per la terra di ognuno. Il mio, di aquiloni, è stato ritrovarmi in mano con uno specchio. Poca voglia di parlare dopo il concerto. Pochi sorrisi, ma non perchè il concerto non era piaciuto, anzi...
Semplicemente molto silenzio e il tempo di guardarsi in questo specchio e vedersi cambiato nel giro di tre ore di concerto. Ma cosa era successo?
E' che questa volta Pino, la sua voce straripante, si è trasformata in mano che prima è andata a pizzicare le corde scordate dell'anima, che è andata a disfare la trama e l'ordito di un'anima che si voleva ostinatamente attaccare a pezze di panno vecchio, ormai troppo sfilacciate.
Ok, una lacrima per tutte quelle vesti, magari anche belle e nobili un tempo, ma ora assolutamente inservibili, col rischio poi che costituiscano per il cuore uno spazio troppo affollato, ma poi... poi la necessaria catarsi!
Sì, Pino ha cambiato il vestito alle sue canzoni, andando però a ricercare le vesti ancora più ricche che c'erano dentro: dentro le canzoni, dentro di lui, dentro la sua voce, dentro ognuno di noi, dentro di me... ha restituito queste canzoni alle loro veri vesti, a una purezza emotiva che direi quasi “vietata ai minori”: niente contro i bambini, ma il fatto è che noi trentenni, quarantenni, cinquantenni ecc, siamo chiamati a ritrovare “quel poco di purezza che non muore con la gioventù”.
Poi, la stessa voce di Pino è diventata ago e filo che ha ripreso quelle vesti interiori ormai inservibili e le ha riaccostate l'una all'altra, con l'esile e trapuntato gesto che sa cogliere il punto di minore resistenza: lì la tristezza si doppia da sola, in un atto di raddoppiamento certo, ma anche di omeopatica cura del simile con il simile. E rinasci capace di accogliere la tua vita come una sposa, col suo pensare e il suo sentire, soprattutto con quella qualità che appartiene all'esistenza ma anche la eccede che è l'amore. Intanto, come d'incanto, quell'ago e filo ha rimesso insieme pezzi di stoffa, e quella stoffa è preziosa e leggera come seta, e può diventare vela, la vela di un nuovo aquilone, attaccato al suo esile filo, alla sua terra. E quel filo lì si trova legato ad altri aquiloni, ad altri fili: la giornata è tersa, ventosa, limpida. Di quelle giornate in cui la luce trasfigura i ponti e i palazzi di Firenze...
E tutti questi fili, e tutti questi aquiloni, insieme, come sospesi e appesi a quell'unico filo, di quell'unico aquilone, che è la voce di Pino, che è Pino. Per un momento, per il tempo del concerto... poi, tutti questi aquiloni, di nuovo aperti e liberi... liberi, di far ritorno alla propria terra di appartenenza, con l'interiore sensazione ed evidenza “di avere fatto un patto con la mia vita, nel cambiarmi la storia”.
Allora, cosa era successo?
Era successa una semplice cosa: di canzone, in canzone, lavorando di precisione e con “mano esperta” (sarebbe meglio dire “voce esperta”), Mango ha regalato una dimensione assolutamente intima in cui la cifra musicale a un certo punto diventa cifra emotiva ed esistenziale e ti raggiunge, ti tocca, ti commuove fino a sorprenderti a pensare che forse forse sei davvero unico.
Ecco. Non chiedetemi se il concerto di questo tour di Mango è acustico o semiacustico. Non chiedetemi la scaletta del concerto. Non chiedetemi quale canzone è stata cantata al top... ma se mi chiedete: cosa è successo a questo tour? E' successo che Mango mi ha regalato la - a volte dimenticata – percezione di essere “me”, una vita così come la mia, un aquilone con la sua terra.
E ruota lo scenario
precario è tutto quello che si ha
non resta che il rifugio in fondo al cuore
Non chiedetemi se il concerto di questo tour di Mango è acustico o semiacustico. Non chiedetemi la scaletta del concerto. Non chiedetemi quale canzone è stata cantata al top (ma ce n'è stata una non cantata così?).
Io so solo che ieri o, insomma, in questo tour, Mango ha confezionato un tipo diverso di aquilone per la terra di ognuno. Il mio, di aquiloni, è stato ritrovarmi in mano con uno specchio. Poca voglia di parlare dopo il concerto. Pochi sorrisi, ma non perchè il concerto non era piaciuto, anzi...
Semplicemente molto silenzio e il tempo di guardarsi in questo specchio e vedersi cambiato nel giro di tre ore di concerto. Ma cosa era successo?
E' che questa volta Pino, la sua voce straripante, si è trasformata in mano che prima è andata a pizzicare le corde scordate dell'anima, che è andata a disfare la trama e l'ordito di un'anima che si voleva ostinatamente attaccare a pezze di panno vecchio, ormai troppo sfilacciate.
Ok, una lacrima per tutte quelle vesti, magari anche belle e nobili un tempo, ma ora assolutamente inservibili, col rischio poi che costituiscano per il cuore uno spazio troppo affollato, ma poi... poi la necessaria catarsi!
Sì, Pino ha cambiato il vestito alle sue canzoni, andando però a ricercare le vesti ancora più ricche che c'erano dentro: dentro le canzoni, dentro di lui, dentro la sua voce, dentro ognuno di noi, dentro di me... ha restituito queste canzoni alle loro veri vesti, a una purezza emotiva che direi quasi “vietata ai minori”: niente contro i bambini, ma il fatto è che noi trentenni, quarantenni, cinquantenni ecc, siamo chiamati a ritrovare “quel poco di purezza che non muore con la gioventù”.
Poi, la stessa voce di Pino è diventata ago e filo che ha ripreso quelle vesti interiori ormai inservibili e le ha riaccostate l'una all'altra, con l'esile e trapuntato gesto che sa cogliere il punto di minore resistenza: lì la tristezza si doppia da sola, in un atto di raddoppiamento certo, ma anche di omeopatica cura del simile con il simile. E rinasci capace di accogliere la tua vita come una sposa, col suo pensare e il suo sentire, soprattutto con quella qualità che appartiene all'esistenza ma anche la eccede che è l'amore. Intanto, come d'incanto, quell'ago e filo ha rimesso insieme pezzi di stoffa, e quella stoffa è preziosa e leggera come seta, e può diventare vela, la vela di un nuovo aquilone, attaccato al suo esile filo, alla sua terra. E quel filo lì si trova legato ad altri aquiloni, ad altri fili: la giornata è tersa, ventosa, limpida. Di quelle giornate in cui la luce trasfigura i ponti e i palazzi di Firenze...
E tutti questi fili, e tutti questi aquiloni, insieme, come sospesi e appesi a quell'unico filo, di quell'unico aquilone, che è la voce di Pino, che è Pino. Per un momento, per il tempo del concerto... poi, tutti questi aquiloni, di nuovo aperti e liberi... liberi, di far ritorno alla propria terra di appartenenza, con l'interiore sensazione ed evidenza “di avere fatto un patto con la mia vita, nel cambiarmi la storia”.
Allora, cosa era successo?
Era successa una semplice cosa: di canzone, in canzone, lavorando di precisione e con “mano esperta” (sarebbe meglio dire “voce esperta”), Mango ha regalato una dimensione assolutamente intima in cui la cifra musicale a un certo punto diventa cifra emotiva ed esistenziale e ti raggiunge, ti tocca, ti commuove fino a sorprenderti a pensare che forse forse sei davvero unico.
Ecco. Non chiedetemi se il concerto di questo tour di Mango è acustico o semiacustico. Non chiedetemi la scaletta del concerto. Non chiedetemi quale canzone è stata cantata al top... ma se mi chiedete: cosa è successo a questo tour? E' successo che Mango mi ha regalato la - a volte dimenticata – percezione di essere “me”, una vita così come la mia, un aquilone con la sua terra.
E ruota lo scenario
precario è tutto quello che si ha
non resta che il rifugio in fondo al cuore