La parola è l’architetto di tutte le cose. La parola è il santo e il profano.
E’ l’abisso, il vuoto, è l’imbuto del mondo.
La parola è la vita da cui differisce solo perché non riconosce la morte.
La parola è il dominio, il perdono, l’amore, principalmente l’amore.
Codice imperfetto nel chiedere risposte continue, codice perfetto nel non aver bisogno di risposte.
La parola è il genio, lo stupore, il capire i segnali. L’accorgersi che l’uomo e le stimmate possono avere un unico significato.
La parola è leccare le ferite, saturarne le bruciature, fare finta che le impalcature del mondo abbiano un senso comunque.
La parola è il destino, la filosofia, è il trasmettere con dignità e precisione la storia, anche quando essa è Olocausto o sterminio dell’amor comune.
La parola è un colore, è il cielo, la parola è Dio, i nostri figli, gli amici, l’andare controcorrente, lo spingersi fortemente fuori dall’onda.
La parola è un volere attento e sano, quello che si dà alle cose quando le cose hanno un nuovo sapere.
La parola è sorpresa, è sogno-vento di nuvole in corsa, di respiri leggeri.
Le parole son labbra di sapori e occhi chiusi come quelli di un neonato.
La parola è acqua, è l’arrivo e la partenza. E’ il tatuaggio sul cuore, quello che rimane con te fino alla fine.
La parola è il segreto, il sangue delle vittime, la disciplina dell’attimo. E’ il tormento della meraviglia, la gioia della capacità.
Il sogno appena bussato e mai aperto dell’antico sentire, catturato, invece, di fresco nel nuovo capire della poesia.
Ecco la parola come strumento d’arte, come affresco dell’animo musicale, come fatto che vive riassumendo il proprio cambiamento in corsa,
il sorriso, il dolore, l’anima, il corpo, la nostalgia, la gelosia dei sensi, l’invidia, la speranza, l’assurdo e il principio.
La parola come disegno, andatura dell’ansia e statura del grido d’amore.
Le parole seguono il volo di un angelo e si fermano su di noi come la mano di un padre.
Ed eccola la parola di Carlo De Bei, nella sua prima raccolta “ CHIODO “, aprire un varco nella poesia e da lì spiccare il volo delle movenze intuitive e della bellezza del gioco.
Dove il ragionare si perde nel cuore senza perdere il battito della memoria.
Dove l’essere musicista diventa consapevolezza del proprio intuito, impalcatura del gesto, sana ragionevolezza del suono.
Dove il palcoscenico è teatro di nuova alleanza, il dare d’istinto diventa colore per gli occhi e sulle corde è possibile sentire i passi dell’anima,
attraverso le dita in comunione col sorridere dell’emozione.
Dove il musicista s’affianca alla vita e ne cancella il rumore.
Ecco in Carlo De Bei la poesia della vicinanza e poi giù, giù, giù fino alla lontananza, quella che attenua i colori e ne esalta le ombre,
tramutando in terre di madre e padre ogni benvenuto nel cuore.
Lì la parola rinasce con l’arte della bellezza e del nuovo vigore, come tutte le movenze che hanno dato nobiltà espressiva alla sintonia dell’uomo sull’uomo.
La nuova scrittura poetica di Carlo De Bei prende posizione esercitando il proprio incanto, fascinando le verticali sensibili di oggi nelle emozioni degli orizzonti futuri.
Mango
E’ l’abisso, il vuoto, è l’imbuto del mondo.
La parola è la vita da cui differisce solo perché non riconosce la morte.
La parola è il dominio, il perdono, l’amore, principalmente l’amore.
Codice imperfetto nel chiedere risposte continue, codice perfetto nel non aver bisogno di risposte.
La parola è il genio, lo stupore, il capire i segnali. L’accorgersi che l’uomo e le stimmate possono avere un unico significato.
La parola è leccare le ferite, saturarne le bruciature, fare finta che le impalcature del mondo abbiano un senso comunque.
La parola è il destino, la filosofia, è il trasmettere con dignità e precisione la storia, anche quando essa è Olocausto o sterminio dell’amor comune.
La parola è un colore, è il cielo, la parola è Dio, i nostri figli, gli amici, l’andare controcorrente, lo spingersi fortemente fuori dall’onda.
La parola è un volere attento e sano, quello che si dà alle cose quando le cose hanno un nuovo sapere.
La parola è sorpresa, è sogno-vento di nuvole in corsa, di respiri leggeri.
Le parole son labbra di sapori e occhi chiusi come quelli di un neonato.
La parola è acqua, è l’arrivo e la partenza. E’ il tatuaggio sul cuore, quello che rimane con te fino alla fine.
La parola è il segreto, il sangue delle vittime, la disciplina dell’attimo. E’ il tormento della meraviglia, la gioia della capacità.
Il sogno appena bussato e mai aperto dell’antico sentire, catturato, invece, di fresco nel nuovo capire della poesia.
Ecco la parola come strumento d’arte, come affresco dell’animo musicale, come fatto che vive riassumendo il proprio cambiamento in corsa,
il sorriso, il dolore, l’anima, il corpo, la nostalgia, la gelosia dei sensi, l’invidia, la speranza, l’assurdo e il principio.
La parola come disegno, andatura dell’ansia e statura del grido d’amore.
Le parole seguono il volo di un angelo e si fermano su di noi come la mano di un padre.
Ed eccola la parola di Carlo De Bei, nella sua prima raccolta “ CHIODO “, aprire un varco nella poesia e da lì spiccare il volo delle movenze intuitive e della bellezza del gioco.
Dove il ragionare si perde nel cuore senza perdere il battito della memoria.
Dove l’essere musicista diventa consapevolezza del proprio intuito, impalcatura del gesto, sana ragionevolezza del suono.
Dove il palcoscenico è teatro di nuova alleanza, il dare d’istinto diventa colore per gli occhi e sulle corde è possibile sentire i passi dell’anima,
attraverso le dita in comunione col sorridere dell’emozione.
Dove il musicista s’affianca alla vita e ne cancella il rumore.
Ecco in Carlo De Bei la poesia della vicinanza e poi giù, giù, giù fino alla lontananza, quella che attenua i colori e ne esalta le ombre,
tramutando in terre di madre e padre ogni benvenuto nel cuore.
Lì la parola rinasce con l’arte della bellezza e del nuovo vigore, come tutte le movenze che hanno dato nobiltà espressiva alla sintonia dell’uomo sull’uomo.
La nuova scrittura poetica di Carlo De Bei prende posizione esercitando il proprio incanto, fascinando le verticali sensibili di oggi nelle emozioni degli orizzonti futuri.
Mango